" Non ero mai andato oltre le pale di un elica e come inaspettatamente accade nella vita, ti ritrovi a fare ciò che prima pensavi impossibile. Così, in un tedioso e interminabile pomeriggio d’estate, nell’aprire l’armadio dove riposano i kits, vedo in un angolo una piccola scatola, chiaramente in difficoltà. Il Mig-19 della Trumpeter, regalo di un amico, era finito non so come, sotto una pila incredibile di bombardieri in grande scala, un massiccio Liberator, una fortezza volante, un A10 Havoc, vari bimotori tedeschi, una pesantissima scatola di un Lancaster e per finire, una coperta di lana e un cuscino posti in cima alla pila. “Lavoro di mia moglie, senza alcun dubbio!”, pensai. Tra una extrasistole e l’altra mi affrettai a tirarla fuori, nella speranza che respirasse ancora. Con irruenza spostai le altre aiutandomi con la testa ma la pila era spaventosamente in bilico, correvo il rischio di vederla rovinare a terra. Frenai la foga mentre sentivo sotto le dita sinistri cedimenti del cartone, un leggero strappo mi lancinò il cuore. Trattenendo il fiato e con molta delicatezza riuscii a liberala e portarla all’aria aperta. “Ti prego signore fa che respiri ancora!” Implorai. II mio cuore batteva all’impazzata e le gambe barcollavano. Quando la adagiai sul tavolo temetti il peggio. Mi resi conto che era davvero malridotta, in fin di vita. La vista fu terribile, agghiacciante: gli angoli della confezione erano schiacciati e un lato deforme tendeva pericolosamente verso l’interno. Aveva una frattura esposta e una profonda lacerazione sull’angolo della facciata inferiore. Cattivo segno, forse ci saranno dei dispersi, temetti! Sempre più preoccupato sollevai quello che restava del coperchio, per controllare i danni. Mi prese una fitta ai reni per la troppa adrenalina. Fortunatamente niente di rotto, le stampate sembravano a posto così come le parti più delicate, nessun ferito dunque e soprattutto, nessun disperso. Il cuore pian piano tornò a battere con regolarità. Tirai un bel sospiro e dopo un tazza di caffè decisi di concedere l’onore delle armi per il coraggio e la tenacia dimostrata. “Come avrà fatto a resistere così a lungo, la sotto? Chissà da quanto tempo sepolta viva!” è una domanda che mi pongo ancora oggi. Spesso mi accade di svegliarmi di soprassalto, con il fiato grosso, dopo aver sognato di essere sepolto vivo sotto una montagna di Kits e, di vedere la plastica cambiare colorito, passando da un grigio chiaro, simile al rigor mortis ad uno tendente al violaceo, tipico dell’asfissia, per finire in un tonalità di blu come il cielo. "

 

Dopo venti anni di preconcetti mi sono messo all’opera sul primo jet e, in effetti, l’aereo ‘Mikoyan-Gurevich’Mig-19 Farmer C è il primo caccia supersonico dell’Unione Sovietica. Costruito a partire dal 1955, si diffonde in tutti i paesi del Patto di Varsavia e diventa il più importate velivolo di intercettazione della seconda metà degli anni ’50. Tuttora è in servizio presso diverse nazioni.
Le stampate del kit sono in negativo e il dettaglio superficiale buono.
Dopo aver trascorso un po’ di tempo a rivettare con una punta da 0,3 mm, mi sono dedicato alla costruzione vera e propria.
Il pozzetto carrelli è stato dettagliato con cablaggi vari e poi dipinto in metallo naturale. Data la delicatezza di questo pigmento, ho ombreggiato i particolari con i colori acrilici che non intaccano il colore sottostante. Ho poi lumeggiato con altre tonalità metalliche con la tecnica del pennello asciutto.

Montaggio. È la prova del nove per qualsiasi kit. Questo della Trumpeter forse non ha superato brillantemente il test, ma niente di disastroso e di irreparabile. Il muso, ad esempio, ha richiesto un accurato lavoro di carteggiatura dato che sporgeva di mezzo millimetro oltre il bordo superiore della fusoliera. I piani di coda sono stati allineati facendo abbondante uso di stucco, mentre le ali, costrette in una ciglia di alloggiamento, sono state fortemente ridotte per poterle incastrare e incollare. La grande deriva, costituita da due pezzi a parte, presentava vari ritiri di fusione ed è stata corretta prima di essere adattata alla fusoliera.

Motore. Il propulsore è stato dipinto a pennello dando una mano di “jet exaust” sintetico della Testors. Ad asciugatura avvenuta sono passato a dare piccoli tocchi di miscele metalliche con il pennello asciutto, poi alcuni leggeri lavaggi con un azzurro e un viola acrilico.

Versione. Ho scelto quella cinese chiamata Shenyang F6, in natural metal con poche insegne. Mi ha stuzzicato l’idea del metallo naturale per provare i famosi Alclad. Dopo aver mascherato qualche particolare, ho tirato fuori dal cassetto un aerografo non molto usato. I colori Alclad non necessitano di diluente, basta agitare per bene, versare nel contenitore e spruzzare. L’effetto mi è sembrato subito buono, peraltro evidenziato dalla numerosa centinatura presente sul velivolo.

Dopo aver applicato le decals (senza fare uso di alcun lucido preventivo) è sorto il problema di come rendere l’aereo meno giocattoloso. Ho trascorso diverso tempo ad osservare le foto per stampare in memoria alcuni dettagli; usure, perdite idrauliche, tutte cose che caratterizzano ogni aereo e che diventano divertimento per i modellisti. Solo quando ho chiaro in mente l’immagine dell’aereo che voglio riprodurre (e mi riferisco alla sua condizione operativa) prendo i colori per ombreggiare e invecchiare. Gli Alclad hanno il pregio di sopportare bene i diluenti sintetici e consentono di fare numerosi passaggi senza timore di portare via il metallo. Cosi mi sono lanciato nell’opera facendo uso di pennelli e piccole dosi di colore, opportunamente sfumato. Le immagini qui sotto illustrano progressivamente le varie fasi dell'invecchiamento.

Tettuccio, carrelli, antenne varie e diversi trasparenti hanno completato il tutto.

La basetta che ospita il velivolo è stata costruita facendo uso di materiali semplici: colla vinilica, un foglio di cartone, barba di Nettuno, raccolta sulla spiaggia della città, terriccio (rubato in piena notte dalle piante di mia suocera) erbetta sintetica e un vecchio pennello di imbianchino.

Per la costruzione ho proceduto in questo modo. Ho ritagliato il cartone sagomando le piastrelle di cemento. Queste sono state trattate con una mano di vinavil diluito e incollate una ad una. I quadroni sono stati dipinti e ombreggiati con diversi colori, dal grigio al crema. Ho poi spolverato il terriccio (con un vecchio colino da te) nella zona libera e tra le fessure del pavimento (prima però, bagnate di colla vinilica). Sul terreno ancora fresco e umido ho aggiunto l’erbetta sintetica, la barba di nettuno e, qualche ciuffo d’erba alto riprodotto con le setole del pennello.

Passando davanti alla vetrinetta, sbircio con tenerezza il modello e, con gli occhi umidi penso con un pizzico di orgoglio di averlo salvato dall’oblio dell’armadio e da una brutta fine.